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Anais Nin: il coraggio di essere controverse

Anais Nin Valentina Falsetta


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La scrittrice di cui vi parlo oggi è una di quelle che hanno caratterizzato il panorama letterario sconvolgendolo.

Di Anais Nin probabilmente conoscete i Diari. E quasi sicuramente vi verrà in mente qualche critica rivolta ai temi trattati. Credo che per comprenderla a pieno bisogni leggere del suo background, abbracciarne la totaltà: nata in Francia, dopo l’abbandono del padre si trasferisce con la famiglia a New York, qui con loro visse fino al matrimonio.

Matrimonio che si si rivela da subito una gabbia per lo spirito cosmopolita ed eccentrico della Nin. Nel periodo parigino degli anni ’30 accade quel che era inevitabile e che sembra un clichè: si innamora di Henri Miller e…della moglie.

Ora possiamo per sommi capi inquadrare la scrittrice: irrequieta, ribelle al matrimonio borghese, alla ricerca di se stessa nella maniacale scrittura e nella psicoanalisi- insoddisfacente-.

«Mi piacciono le mie trasformazioni. Guardo intorno tranquilla e coerente, ma pochi sanno quante donne ci sono in me».

Come sovente accade perdendosi nella lettura i pensieri trasmutano, creano legami fra il vissuto e l’immaginato, ed è insomma come benissimo scriveva Erri De Luca: io cerco nel libro ciò che è già in me.
Noi siamo ciò che abbiamo vissuto e inevitabilmente abbiamo vissuto altre persone all’infuori di noi, persone che abbiamo amato, all’infuori di noi. Fiumi che ci hanno attraversato senza pietà alcuna. Per questo motivo della Nin mi resta adagiata fra le parole scelte, l’irriverenza, il coraggio della libertà, della controversia. Una donna che in un’epoca diversa dalla nostra ha scritto di amori fuori dal matrimonio, di relazioni omosessuali è stata libera a dismisura e in quella libertà ha persistito, unica strada percorribile, come imperativo morale.

Perchè fu aspramente criticata?

A mio avviso il momento della critica non attiene solo gli argomenti “scabrosi”- come se fosse poi l’unica a parlare di erotismo- bensì raggiunge un punto più profondo.

Quello che la borghesia non ha mai compreso e contemplato, e di tale inadeguatezza subiamo il retaggio ancora oggi, è che una donna sia a proprio agio nella sessualità, tanto da parlarne come faceva la Nin.

Non si è mai perdonata la donna libera dagli schemi di moglie e madre, di proprietà altrui. Se fosse altrimenti oggi non saremmo pervasi dalla cultura machista, dai commenti acidi e sprezzanti, dalla gratuità con cui si dice apertamente che una donna non possa rompere il soffitto di cristallo senza che sia conseguenza del concedere sè stessa.

Ed è qui che Nin è rivoluzionaria: scardinare in modo assoluto il momento dell’intimità dai retaggi culturali. “Faccio tutto questo perchè sono una donna innamorata, un’artista, un’eccentrica, e questo non c’entra nulla con i vostri dogmi.” Sono parole mie, ma le immagino cucite addosso al pensiero della scrittrice.

Il coraggio di raccontare

Ci sono molte scrittrici nel panorama nazionale ed internazionale che sui loro sentimenti scrivono libri e saggi, io, le invidio in senso positivo perchè quel che pubblico è ermetico, speculare alla mia riservatezza. Per molto tempo ho faticato a trovare uno spazio e un modo in cui essere vulnerabile senza sentirmi debole.

Invece serve, a chi scrive e a chi legge, il coraggio di raccontare delle ferite e delle gioie. Serve togliere alla segretezza delle note la nostra vita. Ecco perchè, leggendo Anais Nin e delle sue mille trasformazioni ho ripensato ai sentimenti ed ai ricordi.

Vi lascio quel che era una mia postilla ad un saggio più ampio.


Anche se il tempo passa inesorabilmente e cancella ogni giorno un piccolo particolare, accade che una tessera del puzzle, un modo di dire, un film, persino un cappello o un drink ci ricordano attimi che credevamo perduti, forse mai vissuti. Eravamo davvero lí? Abbiamo vissuto insieme? Abbiamo attraversato la strada della vita tenendoci per mano, anche solo per un brevissimo momento? Eravamo felici, forse falsamente allegri. Ad un certo punto si arriva a pensare che niente di tutto quello che identificavi con la parola affetto sia reale; noi amiamo l’altro o l’idea che abbiamo di esso? Amiamo come l’amato ci fa sentire o è un qualcosa di superiore? E le amicizie poi? Quanto è facile perdere il filo…
Evanescenze che ritornano e spariscono velocemente. Non si possono acciuffare i ricordi sbiaditi dal troppo tempo.
Quel che ho visto spesso è che si è preoccupati di nascondere per bene la propria storia e i propri dolori. Io sempre affascinata dalla poesia della vita vissuta a pieno, ho raccontato le mie ferite. Ma ora… ora il tempo è cambiato, e gli occhi di molti anni fa già troppo svegli e troppo attenti sono diventati consapevoli di un potere che va addomesticato, che una volta posseduto non puoi perdere.
Ecco ciò che ho guadagnato.
Sii forte che nessuno ti possa ferire scriveva un saggio, nè un amico nè un nemico. Certo nessuno mi conosce a fondo, ma ogni donna che ho incontrato almeno una volta ha avuto bisogno di staccare la sua realtà dalla vostra, smettere di credere che dovesse appartenere a qualcosa o qualcuno.

Mi piace la controversia del reinventarsi daccapo, dello stupire chi si aspetta l’ordinario.
Tanto tempo si può passare ad amare qualcuno che ci fa sentire ordinarie, a confonderci le idee quando erano invece chiarissime, eppure in punta di piedi sulla vita degli altri abbiamo lasciato dei segni. Indelebili. Per questo le ferite sono tasselli d’orgoglio nelle donne in mutamento, e neanche più ferite, talvolta: meri ricordi di attimi vissuti, gratitudine piena ed assoluta per la loro esistenza. Certe cose si capiscono solo dopo che ti son sfuggite dalla mente.
Tutto ciò che sono stata da quando ho imparato a leggere è stato essere fuori dalle righe, eppure nella gente mi sono persa a volte. Da sola mi sono ritrovata.
Non credo sia un universo al singolare, se fosse così, perderei la speranza di trovare compagne di vita e di poesia.

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Penso che un autore scriva perché ha bisogno di creare un mondo in cui poter vivere. Io non potrei mai vivere in nessuno dei mondi che mi sono stati offerti: il mondo dei miei genitori, il mondo della guerra, il mondo della politica. Dovevo crearne uno tutto mio, come un luogo, una regione, un’atmosfera in cui poter respirare, regnare e ricrearmi quando ero spossata dalla vita. Questa, credo, è la ragione di ogni opera d’arte.

L’artista è l’unico a sapere che il mondo è una creazione individuale, che c’è una scelta da fare, una selezione. É una materializzazione, un’incarnazione del suo mondo inferiore. Quindi spera di attirarvi altri. Spera di riuscire a imporre il suo modo di vedere le cose e di poterlo condividere con altri. E quando non riesce a raggiungere questa seconda fase, l’artista continua tuttavia coraggiosamente a tentare.

Pochi momenti di comunicazione con il mondo valgono la pena, perché è un mondo per altri, un’eredità per altri, un dono.

Ma scriviamo anche per accrescere la nostra consapevolezza della vita. Scriviamo per lusingare e incantare e consolare altri.

Scriviamo per fare serenata ai nostri amanti. Scriviamo per gustare la vita due volte, nell’istante presente e nel ricordo.

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