Qualche settimana fa, in libreria, un amico mi parlava di quello che per lui significasse la lettura. Dice: la lettura per me è un’esperienza totalizzante, li vivo, con la pelle, nella carne, ‘che non ti so spiegare, e fa un gesto con le mani, come a farmi vedere un’immensità che non si può dire.
Ho scattato una fotografia, ho un’immagine di quel momento come ne ho a centinaia.
È così che ti innamori di Marguerite Duras: anche lei ha un’immagine, una foto, che non è stata scattata. Nessuno conosceva l’importanza dell’attraversata del Mekong, dice, solo Dio. Ma è rimasta lo stesso, perfetta, inconsumabile.
È come una musica, ancestrale, alle porte dell’Indocina, che si compone da sè, piano, e ti dice: ecco, qui era la nostra miseria, qui c’era il mio fratellino, il nostro terrore, la sua morte per cui volli morire anche io. Il dolore.
Il piacere di cui mia madre, invece, ebbe paura, lo perse, io lo adottai. L’uomo di Cholen, adesso, non lo so più se non l’ho amato.
L’ho amato fino a morirne. Avevo una madre che, quand’era felice, lavava la casa a secchi d’acqua, ridevamo: io e il fratellino eravamo quelli che smettevano per primi, di ridere, perché ricordavamo la sua follia.
C’è l’immortalità qui, in queste pagine famose alla nascita, e tu vorresti la musica e le immagini durassero per sempre: l’aria azzurra, le ombre di inchiostro, il cielo giallo e verde, un’eternità di splendore e malinconia che scrosciano silenziosi e misteriosi, come le acque del Vietnam.
“Volevo uccidere, uccidere il mio fratello maggiore, aver ragione di lui una volta per tutte e vederlo morire. Per sottrarre a mia madre quel figlio, l’oggetto del suo amore, per punirla di amarlo tanto e tanto male, e soprattutto, almeno così credevo, per salvare l’altro mio fratello, il fratello minore, il bambino, dalla vitalità di quel fratello maggiore che soffocava la sua, da quel velo nero che gli offuscava il giorno, dalla legge che il maggiore rappresentava e dettava, e che era, pur venendo da un essere umano, una legge bestiale, era la paura di ogni istante, di ogni giorno, nella vita di quel fratellino, una paura che ha finito per toccargli il cuore e lo ha fatto morire. Ho scritto tanto delle persone della mia famiglia, ma mentre lo facevo madre e fratelli erano ancora vivi, e io scrivevo di loro, di tutte quelle vicende, senza però riuscire ad arrivare alla sostanza delle cose. La storia della mia vita non esiste. Proprio non esiste. Non c’è mai un centro, non c’è un percorso, una linea. Ci sono vaste zone dove sembra che ci fosse qualcuno, ma non è vero, non c’era nessuno.”