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Devo sentire


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Ph: Vivian Maier

Almeno un giorno, almeno un giro di playlist fra Bach e Gotye e Lorde, almeno mezz’ora prima di cenare la domenica sera: decostruire, decalcificare.

Ben potrebbe essere tollerato un post del genere su un blog personale, no?

Usare leve, cacciaviti e composti chimici; inventare formule e riti da eremita, tutti avversi al calcare depositato dallo scorrere di fantasmagoriche messe in scena sociali. Il calcare secca il cuoio capelluto e la pelle, poi bisogna andare giù di crema Nivea, sì, proprio quella blu dalla confezione di latta. Trovare parole pure e chiare: le mie. E pure e chiare non sta per belle parole. Esercitare il diritto al cinismo: non posso essere sempre così appassionata così partecipe così assuefatta.

Che cosa ho da dire? Che cosa ho da commentare? Un ragazzino si è ucciso in carcere: ladro di cuffiette Bluetooth, amici. Sugli scranni del Parlamento siede un signore che, comprovato, finanziò la mafia. È meno complesso? Banale? Un salto pindarico? Sono populista, amici? Se ritenete che questo mi renda tale, lo sono. È evidente il corto circuito.

A ogni modo, niente che duri più di domani. È tempo scandito da rigurgiti di trash.

Pure cose belle, però. C’è fermento culturale. Ah la cultura…quella cosa che ci vorrebbero far credere separata dall’uguaglianza, avete presente? Del tipo che i genitori del nostro amico non hanno soldi per pagare la bolletta della luce, figuriamoci un libro, figuriamoci il gasolio per andare in città a seguire una bella presentazione. Dobbiamo essere fiduciosi, certo. Confidare nella ciclicità, scrivere e portare in giro e credere negli uomini e prima o poi vincono i Don Chisciotte. Ci voglio credere. (Nella mia città è successo, credo.)

Quel che oggi devo decostruire è la fatina della felicità che vorrebbero vendere. Vi capita di scrollare i social e incappare nella/ nel creator farcito di retorica e moralismo? Sì, un po’ come quelle merendine scarse al supermercato. Sono appetibili, poi scavi, e scavi, e il condominio, l’elite è evidente. La realtà è una cosa, il guardare da fuori un’altra.

Scandaglio ricordi per un progetto in divenire più ampio: ricordo il compagno di classe che poteva leggere solo grazie alla biblioteca creata da noi alunni. Ricordo la maestra buona che costruisce lettori; la maestra disfunzionale che ti umilia e ti chiude al mondo e ti rimane un rossore sul viso perpetrato ogni volta che hai da stare al centro dell’attenzione.

Non ce ne frega nulla delle vostre verità farlocche o del pietismo fatti ad hoc per il pubblico e l’algoritmo. Le storie sono fatte di sofferenze, anche. Sofferenze che ti lasciano o inebetito o con una voglia incredibile di fare a pugni.

La letteratura è fatta di scavi fondi e pericolosi. Questa letteratura qui, solo questa, è l’arma che difende dalle brutture, – nel senso che ti fa rimanere sano di mente dopo averti rivelato cose da fuori di mente – che fa assimilare le tragedie di una comunità, la morte, il lavoro da fare. La letteratura è fatta di periferie sporche, grette, di malinconie ispessite.

Devo distruggere per vederci chiaro, ogni giorno. La fatica è eccessiva e quando pare che con unghie forti mi sia aggrappata a pareti di roccia, sì, proprio lì si appannano i sensi, i sentimenti… di nuovo scivolare nel detto, perdere il non detto.

Devo sentire.

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