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Il Maestro e Margherita: fra Mosca e Gerusalemme l’ultraterreno salvifico


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Il classico di Michail Bulgakov “Il Maestro e Margherita” tormenta chi scrive da qualche tempo. Come tutti i colossi della letteratura è pluricitato, pluriapprezzato o criticato. 

Bulgakov ha il merito, unicamente suo, di aver costruito uno spazio inusuale in generale nel panorama letterario, e pure nell’area vivissima della letteratura russa; si ritrova difatti la trattazione e la narrazione – splendida e ricca – di fatti che ben potrebbero assumere toni solo cupi, tragici, e che invece sono smorzati, senza perdere né intensità né significato, dall’ironia e dalla satira della società del tempo, o meglio, di ogni tempo. Si incrociano due storie e molti altri personaggi a fare da antagonisti sfortunati ovvero penitenti: Ponzio Pilato, il quinto procuratore della Giudea, incontra Ha-Nozri, e in una Jerushalaim in fiamme condanna l’uomo, il filosofo, colui che sa essere innocente. È l’inizio di un tormento durato millenni di lune piene ed anche l’incipit del romanzo scritto dal Maestro, già dunque connotato di un certo spessore rispetto agli altri scrittori menzionati; il procuratore s’intrattiene col suo ospite e ne carpisce la specialità, va incontro al suo destino scegliendo di sotterrare la consapevolezza, spedisce al supplizio sulla collina, con altri due condannati, quell’uomo che incarna il buono del mondo. 

A Mosca, millenni dopo, arriva Woland: esperto di magie occulte, Satana in persona, col suo strambo seguito. Fagotto- Korovev, Behemot, Azazello, la serva-strega Hella. Il lettore è inizialmente disorientato dalla stravaganza della storia che pare priva di logica, apparentemente scollegata dal Maestro e da Margherita, benché lo scrittore sia abile nel disseminare indizi che indicano un viatico comune, fra la Sadovaja e i giardini Patriarse. Nel momento in cui atterrano a Mosca, una città ricca di vita e pure di ipocrisie, questo spregiudicato gruppo procede nell’intrattenere in discese tragiche ogni personaggio ambiguo: la forza e la specialità della prima parte è forse questa. Direttori finanziari, contabili, poeti o scrittori, amministratori e condomini, ogni sorta di uomo o donna appannati da moralità discutibili sono presi di mira, in un sagace girotondo di atti beffardi, senza risparmiare aggressione fisiche e spaventi mentali che rimarranno ben ancorati, come spauracchio, pure alla dipartita degli esseri demoniaci ultraterreni. 

Proprio a quest’ultimo elemento ultraterreno si lega indissolubilmente una storia come tante, contrassegnata tuttavia da devozione altissima e vicendevole, passione e intelletto: il Maestro incontra Margherita e i suoi fiori gialli, e non conta che ella abbia marito o una meravigliosa dimora, una serva, abiti e vezzi. L’ammirazione e il sostegno sono talmente forti, il tutto contenuto in un seminterrato con finestrella sul giardino, che giacciono indimenticati nella mente del lettore fino allo snocciolamento delle vicende centrali. 

Invero Satana-Woland deve tenere un ballo e proprio Margherita è la prescelta regina: trasformata in strega dalla pomata di Azazello cavalca una scopa rinvivita e comincia la sua ascesa verso il mondo sfumato e magico, ma prima, e come potrebbe essere altrimenti, non disdegna di vendicare l’amato Maestro colpendo la casa del critico Latunski, colui che aveva stroncato l’opera. Avviene questa incoronazione della libertà, ancor prima della vera incoronazione al ballo, in cui si spoglia di tutto e, pur se nuda, vola vestita di gioia incontenibile per un regalo che le dà speranza di liberare l’amante dall’ospedale psichiatrico, e le fa assaggiare anche la frenesia di essere individualmente potente. Margherita Nikolaevna, la strega, ha una tale potenza visiva e discorsiva da volare via dal libro, oltre che dalla sua finestra.

Se la strega è potente, la regina – Regina Margot – è assurdamente tenace, e umana fra i diavoli, caritatevole. 

In migliaia fra i peccatori le baciano il ginocchio, la stanchezza avvertita non la vincerà mai, e quando giungerà una donna la cui colpa è quella di aver ucciso il figlio, punita con la continua proposta del fazzoletto incriminato, la regina non esiterà a chiedere a Woland, non finalmente la liberazione per sé del Maestro, bensì la liberazione della donna. 

Nelle ultime pagine, mentre il ritmo incalza, la storia prende contorni vividissimi giacché Levi Matteo chiede a Woland, per conto di Ha-Nozri, di elevare alla serenità i due amanti. Lo stregone pone al servo fedele una domanda più che lecita: perché non salvarli lui stesso? 

Soprattutto dà fuoco improvviso alla confusione e con chiarezza pronuncia: “Che cosa sarebbe il tuo bene se non ci fosse il male e come apparirebbe la terra se non ci fossero le ombre? Le ombre nascono dagli oggetti e dalle persone.”

Ed è qui che viene fornita la chiave. Margherita e il Maestro meritano l’elevazione, Woland ha punito i cittadini di Mosca come meritarono di essere puniti i cittadini di Jerushalaim e il quinto procuratore. 

Il Maestro, come Ha-Nozri, sa, perché sente, al pari del compagno di ospedale Ivan Nikolaevic. Di contro tutto il mondo esterno ad essi, come Ponzio Pilato, si rifiuta di sentire e di affidarsi. Il parallelismo è evidente, poiché il procuratore giace nel mondo ultraterreno rivivendo in eterno una notte di luna fra massi enormi, prigioniero, e i cittadini vengono vessati per aver provocato dolore al Maestro. Sarà quest’ultimo, nel volo che lo porterà alla casa eterna della serenità, a liberare Ponzio Pilato dal suo tormento. Si chiude in tal modo, con la stessa compassione della compagna, uno dei libri più sorprendenti della letteratura russa, sebbene gli amanti e Ivan il poeta, nella realtà, continuino a tornare. Come tutte le grandi storie, Il Maestro e Margherita permette di riconoscerci in passioni o virtù, e di più: come una grazia, concede di riconoscere i problemi di umane fattezze o le salvezze di ultraterrene sembianze, non temendo l’ignoto né l’inspiegabile.

Valentina Falsetta

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