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Luis Sepúlveda: fra letteratura e lotta civile in Cile


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Oggi veniamo a conoscenza della scomparsa di Luis Sepúlveda, fra le vittime del co-vid, pietra miliare dell’attivismo cileno, amatissimo dai lettori italiani, spagnoli e non solo.

La resistenza alla dittatura di Pinochet

Una vita, quella di Sepúlveda, segnata dalle idee marxiste-leniniste, giovane ribelle e anticonformista in un tempo in cui questo significava ancora qualcosa e non si arrestava a mera manifestazione modaiola, nonchè da convinzioni politiche che lo porteranno a far parte della guardia personale del presidente Salvador Allende; le stesse convinzioni che trasfonderà dall’ambito della lotta alla narrativa e soprattutto all’attività giornalistica e teatrale, ed inoltre all’arresto ad opera del regime dittatoriale di Pinochet.

Mentre il Cile “piangeva disperato, la sua libertà perduta”- invero sembrava morta con Allende la possibilità della libertà democratica- con il colpo di Stato di Pinochet, Sepulveda venne arrestato e torturato per sette lunghi mesi in condizioni che solo la dittatura conosce, tuttavia la sua lotta al regime non si arrestò. Messo in libertà grazie alle pressioni di Amnesty International continuò l’opera di denuncia, se possibile, con più vigore. Negli anni successivi al golpe, iniziò a parlarsi dei desaparecidos cileni -analogamente a quanto accadeva in Argentina, Paraguay ed altri paesi latino americani- un’area dunque totalmente devastata dall’autoritarismo dei vari generali e colonnelli, da idee folli di supremazia che portarono i dissidenti, come anche Sepulveda per la seconda volta, in carcere o appunto, a scomparire nel nulla senza più far ritorno. Condannato all’ergastolo per le opinioni dissenzienti riguardo i metodi tirannici e repressivi, l’autore uscirà solo per le nuove pressioni di Amnesty International ed a condizione di un esilio dal Cile.

Un viaggio che ispirò “Vecchio che leggeva romanzi d’amore”

Nel 1977 lasciò dunque il paese natio per recarsi in Svezia, che gli aveva concesso l’asilo politico, ma forte di principi di solidarietà e coscienza civile, allo scalo di Buenos Aires, fuggì per recarsi In Uruguay. Infatti la maggior parte dei suoi amici e conoscenti erano stati incarcerati o uccisi dalle dittature dei vari paesi latini. Alla fine del suo lungo viaggio si stabilì in Equador, posto in cui riprese a dedicarsi all’opera teatrale e dove si unì ad una spedizione dell’Unesco al fine di studiare l’impatto della civilità sugli Indios: proprio in occasione di tale esperienza egli si rese conto di come gli ideali marxisti non fossero universali, in quanto il popolo indigeno dipendeva totalmente dalla natura e non nutriva interesse verso il moderno e nascente progresso.

Salvador Allende e la felicità

Parlare oggi della felicità, del futuro, non è facile perché per arrivare alla definizione della felicità bisogna prima individuare quali sono gli ostacoli che impediscono di realizzarla. La prima volta che ho cominciato a pensare a quest’idea della felicità, della possibilità di essere felice, non solamente come individuo ma come parte di una collettività, di una società felice, è stato nel mio paese, il Cile, nel 1971. Quell’anno ho avuto il grandissimo onore di far parte della scorta del compagno presidente Salvador Allende, della sua guardia personale…

Fra Nicaragua e impegno ecologista

Nel 1978 si unì alle Brigate Internazionali Simon Bolivar in Nicaragua, combattenti per la la libertà e dopo che la rivoluzione ebbe sopraffatto la parte opposta, prese a lavorare come giornalista e l’anno successivo si trasferì in Europa dove si stabilì continuando l’attività di scrittore. Nel 1982 iniziò a collaborare con l’organizzazione ecologista Greenpeace e lavorò fino al 1987 su una delle loro navi, solo nel 1989 poté ritornare in Cile, ma dal 1996 visse in Spagna fino al 27 febbraio 2020.

Senza dimenticare che fino agli anni ‘90, da esiliato continuò a scrivere dei compagni caduti, a chiedere la cattura di Pinochet, ed a porsi in netto contrasto con chiunque ostacolasse la punizione del dittatore, fra questi, Tony Blair.

Lo scrittore che ci insegnò a volare

Ora volerai, Fortunata. Respira. Senti la pioggia. E’ acqua. Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, uno di questi si chiama acqua, un altro si chiama vento, un altro ancora si chiama sole e arriva sempre come una ricompensa dopo la pioggia. Senti la pioggia. “Apri le ali.” miagolò Zorba. “Ora volerai, il cielo sarà tutto tuo.”

…Dalla parte degli oppressi

«Sono uno scrittore perché non so fare altro che raccontare storie. Ma sono anche un essere sociale, un individuo che rispetta sé stesso e intende occupare un piccolo posto nel labirinto della storia. Da questo punto di vista, sono il cronista di tutti coloro che giorno dopo giorno vengono ignorati, privati della storia ufficiale, che è sempre quella dei vincitori».

Le sue storie sono intrise di generosità e sofferenza: narrava degli oppressi, delle infamie subite dai vincitori di turno, degli Indios vittime di un relativo progresso e condannati all’estinzione. La Generosità, che lui stesso citava spesso, gli permetteva di avere una visione autentica di come il mondo dovrebbe essere e di come invece è stato corrotto dai vari Tiranni.

Mancherà la sua impronta semplice, l’analisi antropologica concreta e allo stesso tempo leggera, riuscendo ad essere unicamente passionale nelle affermazioni delle idee e dei lati umani più sensibili.

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