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La norma, i simboli, la poesia


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Durante la prima presentazione de “Le cose erano ricche” mi è stata posta una domanda sul rapporto, nella mia esperienza, fra norma, simboli e poesia. Questo perché in alcuni testi metto in relazione la norma, lo studio universitario nella fase finale, e la poesia.

Prima che Federica Nanci mi ponesse il quesito non avevo mai pensato ai due ambiti in termini di relazione o per similitudine: l’interpretazione della norma in epoca romana era il diritto stesso, oggi il sistema si basa inevitabilmente anche sull’interpretazione giurisprudenziale, autentica, dottrinale, ufficiale. Benché l’interprete debba sempre seguire dei criteri fissati dalla legge, mi sembra che gli attori delle questioni si giochino la possibilità di trovarsi dalla parte vincitrice. Si potrebbe obiettare a questa “tesi” che alla fine la decisione finale spetta a una inevitabile applicazione del diritto quanto più imparzialmente vicina al dettato delle norme superiori, e dunque non ci sia scampo alla verità. Ma questo richiede tempo, spesse volte sbagli e respingimenti al punto d’inizio.

Mi rendo conto che mettere in relazione due argomenti del genere appaia azzardato (non tanto se ci soffermiamo al valore del linguaggio e della semantica), o richiederebbe molto più tempo, ma voglio comunque tentare questa risposta:

forse i simboli in poesia possono sembrare (ingannevolmente) più vaghi, astrusi, senza senso; il più delle volte, credo, quando così sembra è perché il lettore non lascia correre la mente, l’immaginazione o le emozioni, l’inconscio e il represso. Mi è capitato più volte che qualcuno mi dicesse: “con la poesia io, se non è totalmente chiara, materiale, non riesco”.

Credo si tratti anche di quanto la poesia ci concede ma noi non riusciamo a farci dare, viceversa, quanto noi non riusciamo a concedere alla pagina. Da questo punto di vista, la poesia non lascia scampo nell’immediato: o colpisce l’ego, le vergogne, i non detti e neppure esprimibili, o viene accantonata. Non lascia tempo a nessuno.

Se la norma finisce con l’essere regolatrice severa ma fallace, a volte, perché soggetta alla logica umana, la poesia nasce anch’essa come una sorta di profezia di fatti futuri (Marina Cvetaeva avvertiva Achmatova della potenza nefasta dei versi scuri) ma – per me – non ha mai concesso ripensamenti, reinterpretazioni. In questo senso, la poesia è stata per me più severa e crudele ma anche più ricca, sincera, e “divinamente guidata” per usare un’espressione inglese, il che la rende ai miei occhi qualcosa di santificato, una sorta di miracolo per intercessione di moti superiori.

https://www.mondadoristore.it/Le-cose-erano-ricche-Valentina-Falsetta/eai978883344513/