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Autobiografia di mia madre – Jamaica Kincaid


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“Mia madre è morta nel momento in cui nascevo, e così per tutta la vita non c’è mai stato nulla fra me e l’eternità; alle mie spalle soffiava sempre un vento nero e desolato”.

Alla potenza evocativa del proprio nome uno non ci pensa mai, come con tutte le cose che si hanno evidenti sotto gli occhi; così come, essendo noi nati da una madre, non pensiamo all’assenza della stessa (non sempre, non tutti: dicono che l’infanzia finisca quando un bambino ha consapevolezza della morte). E cosa vuol dire vivere ed essere figlio di una madre che muore? “Mia madre è morta nel momento in cui nascevo, e così per tutta la vita non c’è mai stato nulla fra me e l’eternità; alle mie spalle soffiava sempre un vento nero e desolato”.
Il significato del nome, l’origine del cognome, da quale popolo veniamo, di sconfitti o conquistatori, di lottatori o di inermi: curiosità passeggere.
Una tradizione coreana vuole che si usino due nomi, uno per la vita pubblica, uno per gli affetti: se usano il mio nome per ferirmi, quello che conoscono tutti, io non posso esserlo; sono ormai un’altra cosa, diversa, intoccabile da chi non mi ama. Abbiamo nomi per ogni cosa ma non pensiamo a quanto il nostro abbia potere sugli altri. Nelle foreste neotropicali esiste un roditore chiamato aguti, racconta Jamaica Kincaid, ed è qui che in sogno insegue la giovane donna che lotta per sopravvivere al vuoto d’amore intorno, l’aguti corre, perseguita, attende che lei si getti nelle acque nere dei fiumi. Lei fa tre giri intorno a sé e pronuncia il suo nome: l’aguti sparisce e lei sopravvive. Xuela, Xuela, Xuela. Io sono, io sono, io esisto: fuori dagli altri e mai completamente solo, il paradosso dell’essere umano.