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C’è ancora domani


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La sala cinematografica diventa una cornice in cui riascoltare cose, rivedere scene. Tizio mi scrive che, sintetizzo, siamo un po’ vittime perché le donne ormai stanno ai posti di potere, il gender gap non esiste, abbiamo un presidente del consiglio donna a riprova di questo. E una dovrebbe rispondergli: e infatti la Meloni si serve dei frutti del femminismo e delle sue battaglie ma non lavora per i diritti delle altre, innalza l’IVA sugli assorbenti, vuole dare una mano con gli asili nido ma nutrire e curare i propri figli diventa sempre più costoso. C’è un politico noto che in trasferta nella mia città dice di non voler parlare di femminismo per rispetto (neppure quelli più istruiti e strutturati danno garanzia di aver capito cosa femminismo non è, ossia roba da femmine.) Caio ad una cena cerca di umiliarti davanti agli altri dicendo che hai parlato troppo (ti riconosci anche tu?) In momenti felici o sereni, fra frasi di circostanza, quelle micro aggressioni del tipo: ma lascia perdere, sono cose da uomini; te lo spiego io, senti qui, e sull’argomento ci hai passato le giornate sui libri. Femminicidi e linguaggio sono quotidianità figli di questa Storia qui: le donne delle nostre famiglie (quante volte abbiamo ascoltato lo stesso racconto?) oppresse e malmenate, analfabete, prive di strumenti di libertà. E ogni volta tentare di raccontare cosa è farsi strada, decostruire per lasciarla pure noi un po’ migliore, la quotidianità. E sempre chiedersi se davanti ai muri sordi dei tizi di cui sopra ne valga la pena: se dall’impegno politico e dal talento può nascere qualcosa come #cèancoradomani, la risposta è sì, ne vale la pena.