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Act of Service di Lillian Fishman, edizioni e/o


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“Servirsi” è l’esordio letterario di Lillian Fishman.
Non concordo né con Heti quando lo definisce “audace”, né con Leilani quando gli affibbia un “selvaggio”.

Non c’è nulla dei due caratteri nel trattare la sessualità e il desiderio per quello che è: un fatto (o fattore) umano inesorabilmente presente. C’è un tentativo di slancio, andato a segno, nella critica che si muove ai dogmi del femminismo e della comunità LGBT. Quanti scritti di insoddisfazione si sono letti, negli ultimi tempi, di persone rientranti in quest’ultima? Molto più inclini, invece, a trattare il tutto con i guanti, a comunicare attraverso una campana di vetro tanto spessa quanto assolvente.
La letteratura riesce, lontana dalla prestazione dei giornali e dei social, ad andare più a fondo. Fishman mette in discussione tutto, questo è il suo merito: il femminismo ultimo (un uomo deve essere sempre una minaccia?); la sessualità deve rientrare nei ranghi di quello che è conosciuto?; e l’amore… è davvero la strada univoca che il mondo ci ha ben mostrato?

I fregi e i punti interrogativi sono stati tanti: insopportabile la necessità di Eve di ricevere risposte su sé stessa dall’altro, uomo o donna; l’ammirazione infantile per mestieri più “eroici” del suo. Non c’è scampolo di stima o ammirazione per sé, in questa storia. Eve si pone domande intelligenti, ma non ha risposte.
La scelta di un lessico crudo, che voleva forse dare un taglio per davvero “radicale”, qui ha lasciato solo un’appiccicata sensazione di morboso.
La riflessione su un amore fuori dalle sociali misure mi ha riportata a Simone Weil: “Nessuno ha amore più grande di colui che sa rispettare la libertà dell’altro.”
Gli act of service, allora, più che inerenti alla sfera della sessualità, sono quelli inerenti all’apprensione di una verità tanto scandalosa quanto amara: non c’è freno inibitorio al desiderio irrazionale, né giusto o sbagliato, in un certo senso, fare i conti con la propria morale (o quella degli altri?) è una discesa tormentata; forse, non c’è davvero altro amore se non l’attenzione come intesa dalla Weil: sospendere il proprio pensiero, lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile al soggetto.

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Valentina Falsetta