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Kabul e così sia


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Su La Nuova Calabria: https://www.lanuovacalabria.it/la-riflessione-valentina-falsetta-kabul-e-cosi-sia?fbclid=IwAR1aTvVGsgvUunr1i0oYrnSlqavs83j_RKpPnhcNratXLzULhdFsvmX0ge4

Piccoli eventi, grandi azioni.

Grandi eventi, grandi défilé.

Gira in tal modo la giostra dei disastri in Italia. 

Talmente limitati alla condivisione che ci si dimentica dell’unica, grandissima questione che si dovrebbe sollevare in questo momento: i media nazionali asserviti e noialtri, nessuno che abbia l’ardore di chiedere il conto e il perché di quei 54 morti in Afghanistan e dei miliardi chiesti ai contribuenti. 

Degno di nota unicamente l’articolo di Alessandro DiBattista su TPI pubblicato peraltro un anno fa, quando ancora dell’Afghanistan nessuno ricordava: nomi e cognomi noti in politica, quelli che ci trascinarono in una guerra miliardaria. 

A meno che, come ho letto ovunque, si ritengano giusti quei morti e quei 20 anni di guerra. 

Perché se adesso si invoca soccorso in nome dei dimenticati, per coerenza logica si ritiene giusto l’intervento di 20 anni fa.

Dunque bisogna domandarsi: se chiediamo aiuto ora, gli USA esportatori di democrazia nel 2001, furono i buoni o i cattivi? Hamas che appoggia i Talebani rappresenta un campanello d’allarme nelle vostre coscienze o continuerete ad ignorarlo? 

Quanto il sentire dei nostri uomini di Stato deve essersi assopito? Perché di eventi di paese in questi mesi ce ne sono stati, e quante vesti strappate, quante lacrime ai microfoni… 

L’ipocrisia della comunità internazionale: coesi quando c’è da invadere e  legalizzare pratiche illecite, così ligi alle poche norme quando c’è da difendersi.

Eppure sono corpi, quelli che abbiamo ignorato prima della disfatta del governo afghano, come lo erano in Vietnam, come lo sono nello Yemen dove alla fine del 2020 hanno perso la vita 233 mila persone. 

Nessuna prefica in Italia piange lo Yemen, i suoi neonati morti e le donne prive di diritti. 

Nessuna donna o uomo condanna il burka in tempi diversi-la tunica con la rete posta sugli occhi che fa intravedere il mondo a chi lo indossa- nessuna ondata di solidarietà o di massima condivisione parte dai social quando in Asia la tortura è ordinaria, perché l’amarissima verità è che lo sdegno civile prende il via solo quando le immagini arrivano forzosamente davanti ai nostri occhi, quando è routine condividere nelle storie Instagram la situazione drammatica di turno.

Il mondo, spiace dirlo, non funziona in base a ciò che vedi e a ciò che tocca di più l’anima. 

I diritti umani sono spenti così tante volte senza che l’opinione pubblica ne tenga conto, che solo una piccola parte di quei soprusi e violenze riesce a risalire l’onda. 

Soprattutto, quella piccola (grande) parte è forse la meno cruenta, la più facilmente accettabile.

I diritti umani, calpestati e violati, gli stessi che per noi sono scontati come respirare, continuano ad essere macchie di inchiostro su Trattati ratificati e mai rispettati: sogni di sofferenza estirpata che rimangono in troppi luoghi inattuabili. 

In vista degli eventi presenti e futuri, la minaccia di “ritenere responsabili” i Talebani del ministro Di Maio, senza poi comprendere cosa implichi la responsabilità accertata, non è altro che l’esempio fulmineo della panacea data in previsione della dimenticanza collettiva.