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Patrizia Cavalli


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Ma lei ci crede in Dio? Ma che domanda è. È una domanda legittima, risponda. No, meglio in Apollo a questo punto. “Patrizia Cavalli ha una bella pelle.” Anche i giornalisti del Corriere della sera a casa dell’intervistata possono essere dei dementi. Il corpo, sì parliamo del corpo.
E di che vuoi parlare? Dell’anima? Ma dai.
Ma dai!
Bho!
Rivendicavi il diritto di non trovare una risposta sapiente a domande esistenziali. Poeta e non poetessa, che roba è poetessa? È ridicolo.
Allora te ne sei andata, è vero, Patrizia.
Alla fine quel corpo così presente ti ha lasciato, e il male della mente? La continua percezione? Anch’essa si è spenta o continua a tormentarti nell’onirico della morte? Ti ho pensata più spesso del solito. E questo aperto teatro, sempre aperto teatro, rifiuto del sipario alla fine è calato. La predisposizione a percularsi nella poesia scritta a 10 anni con un’elisione, ah, dicesti, allora credevo che fosse poesia la ricerca della forma.
La pietra tombale sul cos’è e cosa non è la poesia, l’io singolare proprio mio.
Io dico quello che mi pare, parlo di me, della vita che mi è venuta a trovare. Posso fare questo. Siamo quello che ci accade di tanto in tanto, non esistono anni felici, forse stagioni o giorni. Solo quelli.
Eppure Vita meravigliosa che scoppia nella costante ironica domanda a sé, in uno stato di grazia nel bosco svizzero, negli amici a scacciare la solitudine.
Elsa mi ha aperto il mondo, io che ero sempre stata sola, non ero più sola. E quando mi disse, congratulazioni Patrizia, sei poeta, mi sollevai perché il peggio al suo cospetto era passato. E quindi desideravi che Elsa ti guardasse come guardava ai suoi romanzi, mica lo immaginavi che le tue poesie avrebbero cambiato il mondo, non il mondo assoluto totale, no, il mondo proprio suo singolare di ognuno.
E che avrebbero voluto altri essere guardati da te, Patrizia Cavalli, come volevi essere guardata da Elsa.
La poesia era come un vestito, la moda la indagavi come uno dei tanti mezzi-briciole di umanità. Languori felini. Scatti pensati. La poesia era la protezione speciale dall’umidità nelle ossa.
E quell’io singolare proprio mio, grande, ampio come le finestre a Roma da cui ti si proiettava dentro il mercato, era talmente pieno di moltitudini di parole da ordinare come i taccuini nascosti che non ci si pone il problema di conoscerti. Perché le parole che hai dato bastano a tracciare la via che porta a Patrizia, donna, poeta, filosofa, il grande ricevitore di giorni e anche di notti che si posano sul viso.
Amore amato, te ne sei andato, ma non per questo sei meno vero. Non per questo sei meno vera, Patrizia, eterea mai, presente dal caschetto fino alla punta delle scarpe.

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Valentina Falsetta